Prestazioni mediche “estetiche” dopo la Corte di Lussemburgo


Accertamento degli uffici periferici in difformità rispetto all’interpretazione delle circolari ministeriali.
Sta accadendo che alcuni uffici locali dell’Agenzia delle Entrate contestino l’esenzione Iva applicata alle prestazioni rese dai medici specializzati in chirurgia estetica, qualificandole non come prestazioni mediche, ma come prestazioni aventi una “finalità di natura cosmetica”, e quindi imponibili ai fini Iva. Il problema delle prestazioni “estetiche” rese da medici chirurghi specializzati in chirurgia estetica di cui all’art. 10, n. 18 D.P.R. 633/1972 nasce dalla presa di posizione di alcuni uffici che sulla base dei pronunciamenti della Corte di Giustizia (Causa C-91/12 del 21.03.2013) hanno emesso accertamenti in difformità a quanto previsto dalla circolare 28.01.2005, n. 4/E.
Secondo la circolare n. 4/2005, infatti, le prestazioni mediche di chirurgia estetica sono esenti da Iva in quanto sono “ontologicamente connesse al benessere psico-fisico” del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona. La Corte di giustizia è intervenuta sull'argomento e con la sentenza relativa alla causa C-91/12 del 21.03.2013 ha interpretato l'art. 132, par. 1, lett. b) e c) della direttiva 2006/112/CE, sulla base di questi principi:
1) le prestazioni di servizi consistenti in operazioni di chirurgia estetica e in trattamenti di carattere estetico, rientrano nelle nozioni di cure mediche o di "prestazioni mediche (alla persona)", ai sensi di detto paragrafo, qualora tali prestazioni abbiano lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone che, a seguito di una malattia, di un trauma oppure di un handicap fisico congenito, hanno bisogno di un intervento di natura estetica. Se, invece, l'intervento risponde a “scopi puramente cosmetici”, non rientra in tali nozioni e non sconta l'esenzione IVA;
2) le semplici convinzioni soggettiveche sorgono nella mente della persona che si sottopone a un intervento di carattere estetico in merito ad esso non sono, di per sé, determinanti ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia scopo terapeutico;
3) le problematiche di salute che scontano l’esenzione sono anche quelle di ordine psicologico;
4) che la valutazione sullo scopo terapeutico della prestazione, poiché presenta carattere medico, deve basarsi su constatazioni che hanno tale carattere, effettuate da personale qualificato a tale scopo;
5) le circostanze che tali prestazioni siano fornite da un appartenente al corpo medico abilitato sono idonee a “influire sulla valutazione” della questione se interventi come quelli in argomento rientrino nelle nozioni di cure mediche o di prestazioni mediche alla persona.
La sentenza della C.T.P. di Ravenna 8.01.2018, n. 9 si è espressa aderendo alle tesi della citata circolare 4/E, e quindi ha riconosciuto l’esenzione Iva per tutte le prestazioni effettuate da medici chirurghi estetici. Al contrario la C.T.R. Emilia Romagna con sentenza 10.09.2018, n. 2328, ha disposto l’assoggettamento Iva di alcune prestazioni di chirurgia estetica effettuate da un medico chirurgo, per il fatto che non avevano uno scopo terapeutico ma meramente cosmetico e per il fatto che la prova dello scopo terapeutico è un onere che compete al medico e che può essere sindacato dal Fisco.
Come fatturare quindi le prestazioni di chirurgia estetica? La sentenza C-91/12 della Corte di Giustizia aveva già messo in luce, ai fini Iva, la problematica relativa all’individuazione dello scopo terapeutico o cosmetico della prestazione chirurgica.
Secondo la Corte, la valutazione della natura delle prestazioni mediche/cosmetiche spetta al medico che esegue l’intervento e non è verificabile in modo oggettivo. Consentire all’Agenzia delle Entrate di sindacare tale valutazione, genererebbe il concreto rischio di arbitrarietà fiscale e distorsioni della concorrenza, sia all’interno del territorio nazionale che tra i Paesi dell’Unione europea, in contrasto con il principio di neutralità dell’Iva.
Si aggiunga che l’Agenzia delle Entrate richiede al medico non una semplice dichiarazione sulla natura terapeutica della prestazione, ma vere e proprie prove documentali da produrre in giudizio sulla “necessità medica” dell’intervento, fatto questo che dovrà anche conciliarsi con il dovere di tutela della privacy dei pazienti.
Proprio in considerazione del fatto che il giudizio compete al medico, alcune associazioni di categoria e taluni ordini locali dei medici hanno preso posizione a seguito della pronuncia della Corte di giustizia citata, sostenendo che il medico effettua esclusivamente “atti medici”, come tali esenti da Iva ai sensi dell’art. 10, D.P.R. 633/1972. Le possibili conseguenze in capo a quegli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate che hanno scelto di disattendere all'interpretazione centrale sulla base di un'asserita adesione all’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, sono rischiose.
Una cosa è certa. Quando l’interpretazione degli uffici fiscali periferici è conforme alle direttive centrali, un’eventuale responsabilità per effetto della violazione del diritto comunitario è in capo allo Stato nel suo insieme. Ma quando invece l’applicazione interpretativa dell’uniforme diritto comunitario viene lasciata al singolo ufficio, potrebbe determinarsi: a) una disomogeneità interpretativa e una conseguente discriminazione fiscale per i contribuenti residenti nelle diverse regioni del Paese; b) in caso di eventuale disconoscimento giudiziale dell’interpretazione periferica, una possibile azione di risarcimento verso il singolo ufficio agente (e non anche dello Stato) con potenziali effetti in ordine alla responsabilità personale del funzionario; c) una situazione di obbiettiva incertezza normativa, con l’effetto di rendere illegittimo il provvedimento sanzionatorio, come espressamente previsto dall’art. 6, c. 2, D.Lgs. 472/1997, dall’art. 8 D.Lgs. 546/1992 e dall’art. 10, c. 3 L. 212/2000 (Statuto del contribuente).
Corrado Scalabrini
Barbara Marini



IMPOSTE E TASSE

Iva, bollo e fatture nel Ddl di Bilancio 2021

30/12/2020


Tra le altre novità, il c. 1102 del testo in discussione aggiunge un periodo al c. 3, art. 7, del D.P.R. 542/1999 in materia di registrazione e liquidazione periodica. Precisazioni anche in merito ai controlli per l’assolvimento dell’imposta virtuale su e-fattura che da dopodomani cambiano modalità.